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Bisogna ammetterlo, almeno una volta l’abbiamo pensato tutti: che
importanza ha se monto scarichi non omologati? Vado a cercare qualcuno che
incida il codice di omologazione e sono tranquillo!
Idea più insensata non si può avere: il fatto è che, se realmente
si facesse una cosa del genere, non soltanto si commetterebbe un illecito
amministrativo (con conseguente applicazione delle sanzioni del Codice della
Strada), ma verrebbero integrati uno o più reati penali (sanzionati con la multa e/o la reclusione).
Innanzitutto, bisogna distinguere due diverse ipotesi: in primo luogo,
potrei limitarmi a far incidere sugli scarichi il codice di omologazione
riportato a libretto; in secondo luogo, potrei procurarmi il foglio di
omologazione di un altro sistema aftermarket, scannerizzarlo e stamparlo in modo che risulti del tutto uguale
all’originale, facendo poi riportare il relativo codice sugli scarichi.
Partiamo dalla prima ipotesi: sotto il profilo del Codice della
Strada, come detto nel primo articolo del blog, andrebbe applicata
esclusivamente la sanzione amministrativa prevista dall’art. 72, ossia il pagamento
di una somma da Euro 84 a Euro 335. I veri problemi derivano però
dall’applicazione del Codice Penale, in particolare dell’art. 469 (“Contraffazione di
impronte di una pubblica autenticazione o certificazione”): “Chiunque (…) contraffà le impronte di una
pubblica autenticazione o certificazione, ovvero, non essendo concorso nella
contraffazione, fa uso della cosa che reca l’impronta contraffatta”
soggiace alla reclusione da uno a cinque anni e alla multa da Euro 103 a Euro
1032, tutte ridotte di un terzo.
Che il marchio “e” con il relativo codice di omologazione
costituiscano “impronte di una pubblica
autenticazione o certificazione” è chiarito dalla giurisprudenza: “Sono impronte di pubblica autenticazione o
certificazione i (…) contrassegni apposti, sempre da una pubblica autorità o da
un pubblico ufficio e destinati a comprovare il compimento di un determinato
atto o a indicare la qualità, lo stato, l’origine o la condizione di una cosa”
(Cass. 2398/1985); è incontestabile, quindi, che marchio europeo e codice di
omologazione costituiscano una “impronta” penalmente rilevante.
Tra l’altro, il carattere principale di quest’ultima è la provenienza dalla
Pubblica Amministrazione: in sostanza, l’impronta riconducibile all’art. 469
c.p. dev’essere un segno o un marchio impresso non dalla casa costruttrice del
veicolo (si pensi al numero di telaio), ma dalla Pubblica Amministrazione (sia
essa nazionale o comunitaria). Anche la giurisprudenza ha chiarito tale profilo:
“La contraffazione del numero originale
del telaio o del motore impresso sul ciclomotore dalla casa costruttrice non
integra l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 469 c.p., che si riferisce,
invece, alla contraffazione e all’uso di impronte di pubblica autenticazione o
certificazione” (Cass., 7368/2009; Cass., 2515/1995).
Inoltre, si tenga conto che dev’essere applicato l’art. 354 c.p.p., “Accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone. Sequestro”,
i cui primi due commi recano: “1. Gli
ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria curano che le tracce e le cose
pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi e delle cose non
venga mutato prima dell'intervento del pubblico ministero.
2. Se vi è pericolo che le cose,
le tracce e i luoghi indicati nel comma 1 si alterino o si disperdano o
comunque si modifichino e il pubblico ministero non può intervenire
tempestivamente, ovvero non ha ancora assunto la direzione delle indagini, gli
ufficiali di polizia giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi
sullo stato dei luoghi e delle cose. Se del caso, sequestrano il corpo del
reato e le cose a questo pertinenti”; quindi, è molto probabile che il
vostro ferro finisca per essere sequestrato, risultando in siffatti casi
integrate le condizioni richieste dalla giurisprudenza: “Per la legittimità del sequestro del corpo del reato e delle cose
pertinenti al reato, non occorre che il fatto-reato sia univocamente accertato,
ma basta che ragionevolmente configurabile e non possa essere escluso prima
facie” (Cass., 11/06/1992). Insomma, è vero che le Forze dell’Ordine non
hanno la certezza che l’omologazione dello scarico sia contraffatta, ma –
almeno a prima vista – questa tesi sembra verosimile e il sequestro non può che
essere legittimo.
Quindi, se decidiamo di incidere su silenziatori non omologati il
marchio “e” e il relativo codice di omologazione, si rischia:
- la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 72 Codice della Strada (il pagamento
di una somma da euro 84 a euro 335);
- la sanzione penale prevista dall’art. 469 c.p. (reclusione da uno a
cinque anni e alla multa da Euro 103 a Euro 1032, ridotte di un terzo);
- il sequestro del veicolo ai sensi dell’art. 354 c.p.p.
Seconda ipotesi: oltre all’incisione sugli scarichi, mi procuro un
certificato di omologazione originale (relativo però ad altri sistemi
aftermarket) e ne faccio l’esatta copia, utilizzando anche strumenti relativamente
sofisticati che rendano la copia medesima in tutto e per tutto uguale al documento da cui
deriva.
In tal caso, la questione si complica: infatti, da un lato vale il
discorso effettuato per la prima ipotesi (sanzione amministrativa pecuniaria ex
art. 72 Codice della Strada, sanzione penale ex art. 469 c.p.), dall’altro
viene integrata un’altra figura di reato, "falsità materiale in certificati o
autorizzazioni amministrative".
In particolare, per il caso in discorso rilevano due norme del Codice
penale: l’art. 477 e l’art. 482. Ai sensi del primo, rubricato
“Falsità materiale commessa dal pubblico
ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative”: “Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio
delle sue funzioni, contraffà o altera certificati o autorizzazioni
amministrative, ovvero, mediante contraffazione o alterazione, fa apparire
adempiute le condizioni richieste per la loro validità, è punito con la
reclusione da sei mesi a tre anni”. Ai sensi del secondo, rubricato “Falsità materiale commessa dal privato”:
“Se alcuno dei fatti preveduti dagli
articoli 476, 477 e 478 è commesso da un privato, ovvero da un pubblico
ufficiale fuori dell’esercizio delle sue funzioni, si applicano rispettivamente
le pene stabilite nei detti articoli, ridotte di un terzo”.
Ciò posto, si tratta dunque di risolvere due questioni: in primo
luogo, comprendere se il foglio di omologazione rientri o meno tra i
certificati o le autorizzazioni amministrative; in secondo luogo, vagliare se
anche soltanto l’esatta riproduzione del foglio possa considerarsi
contraffazione o alterazione.
Relativamente alla prima questione, la giurisprudenza chiarisce: “il certificato amministrativo, previsto
dagli artt. 477 e 480 c.p. è caratterizzato dalla mera attestazione di verità o
di scienza priva di contenuto negoziale e svincolata dal compimento di attività
direttamente effettuate o percepite dal pubblico ufficiale, relativa a fatti di
cui è stata già altrimenti accertata l’esistenza” (Cass., 3161/1984); in
sostanza, ciò che rileva è il carattere meramente dichiarativo del documento.
Il foglio di omologazione si limita a dare atto dell’esito di precedenti operazioni
di verifica, di certo effettuate non dal funzionario che lo firma, ma da un
tecnico specializzato; per cui, dev’essere considerato una certificazione
amministrativa.
Relativamente alla seconda questione, la giurisprudenza chiarisce: “La mera riproduzione fotostatica di
un’autorizzazione amministrativa priva della dichiarazione del pubblico
ufficiale che ne attesti la corrispondenza all’originale, non integra il reato
di cui all’art. 477 c.p., né altra ipotesi di falso documentale” (Cass.,
1817/1995); se però utilizzo mezzi sofisticati che facciano apparire la
riproduzione del tutto identica all’originale (per dimensioni, colore, forma,
dati riportati, tipo di stampa) e che la rendano chiaramente diversa da una
semplice copia fotostatica “l’agente pone
in essere una attività di contraffazione, intesa come imitazione fraudolenta di
un documento (certificativo) o autorizzativo, individuato da specifiche
caratteristiche formali, in modo da fare apparire la riproduzione come
originale e del quale ripete le caratteristiche” (Cass., 9366/1998).
Quindi, se ci si limita a fotocopiare il foglio di omologazione, non
viene contestata la falsità materiale ex art. 477 c.p.; se invece si predispone
una esatta riproduzione del documento, in tutto e per tutto uguale
all’originale, la contestazione non può essere evitata.
Rimane da comprendere un elemento fondamentale: possono i reati
previsti dall’art. 469 c.p. e dall’art. 477 c.p. concorrere, ossia posso essere
incolpato per entrambi o l’uno assorbe l’altro?
La giurisprudenza – mediante un ragionamento relativo alla falsità
materiale in atto pubblico, ma sicuramente estensibile alla falsità materiale
in certificati o autorizzazioni amministrative – afferma sul punto: “Il reato di falsità materiale in atto pubblico
concorre con quello di contraffazione delle impronte di una P.A. in ragione del
diverso bene giuridico tutelato dalle due fattispecie, che, per la prima, deve
essere individuato nella fede pubblica documentale e, per la seconda, nella
fiducia attribuita ai mezzi simbolici di autenticazione pubblica” (Cass.,
27973/2008). Di conseguenza, si può essere incolpati sia del reato di
contraffazione delle impronte di una pubblica autenticazione o certificazione,
sia del reato di falsità materiale in certificati o autorizzazioni
amministrative.
Non rimane che delineare le sanzioni alle quali si verrebbe
assoggettati:
- quella pecuniaria prevista dall’art. 72 Codice della Strada (il pagamento
di una somma da euro 84 a euro 335);
- quella penale prevista dall’art. 469 c.p. (reclusione da uno a cinque anni e alla multa da Euro
103 a Euro 1032, ridotte di un terzo) e dall’art. 477 c.p. (reclusione da sei mesi a tre anni, ridotta di un
terzo) in concorso formale tra loro – perché espressive di un medesimo disegno
criminoso – ossia, in sostanza, la pena prevista per il reato più grave
aumentata sino al triplo (art. 81 c.p.);
- il sequestro del veicolo ai sensi dell’art. 354 c.p.p.
Quindi, vale la pena incidere il marchio “e” con il relativo codice su
scarichi non omologati? Assolutamente no: oltre alle pene (pesanti)
sopraddette, si calcolino le spese legali e – soprattutto – le negative
ripercussioni che un processo penale può avere sulla vita sociale, lavorativa,
ecc.
Meglio circolare con scarichi aperti, rischiando con consapevolezza le sanzioni
amministrative previste dal Codice della Strada, ma per lo meno certi che non si finirà dietro le sbarre!!!
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